Fertilizzanti in Italia: si stima che costerà più di 5 miliardi di euro ridurli entro il 2030.
La stima arriva da uno uno studio dell'Università Cattolica di Milano che ha calcolato l’impatto dei target Ue al 2030 sulla chimica nei campi.
Si tratta di una possibile proiezione dell'obiettivo Ue di ridurre del 20% l’uso dei fertilizzanti chimici nei campi entro il 2030 all’Italia costerà 5,4 miliardi di euro.
La strategia Farm to Fork
Per la riduzione della chimica nelle campagne del continente la strategia From farm to fork prevede due grandi target, uno per i fitofarmaci e uno per i fertilizzanti.
Ma se sui primi la Commissione europea ha fatto marcia indietro anche per rispondere alle manifestazioni dei trattori, sui fertilizzanti gli obiettivi fissati nell’ambito del Green deal ad oggi sono rimasti gli stessi.
Ma opinione pubblica a parte, meno fertilizzanti (così come i fitofarmaci) significa nel medio periodo meno produttività.
Riduzione fertilizzanti e crollo di produttività
Si calcola per esempio che, riducendo i fertilizzanti del 20%, la resa del grano duro in Italia calerebbe del 14,5% e quella del grano tenero del 12,3%.
Il mais diminuirebbe del 12%, la produzione di mele del 10,5%, quella di pesche del 14,3%, il pomodoro del 12,6%, la soia del 6,6% e l’uva da vino del 9,9%. Tra mancato raccolto della materia prima nei campi e calo della trasformazione da parte dell’industria alimentare, dunque, il conto per il made in Italy sarebbe di 5,4 miliardi di euro.
Il supporto dei biostimolanti
In questo scenario di perdita di produttività una minima compensazione potrebbe arrivare dai biostimolanti. Si tratta nutrienti naturali come estratti di alghe, proteine idrolizzate, batteri e altri microrganismi che, aggiunti ai terreni, sarebbero sostanzialmente in grado di compensare la perdita di fertilità derivata dalla riduzione del 20% dei fertilizzanti azotati.
Lo raccontano anche i numerosi test in campo effettuati su differenti colture da pieno campo, pomodoro in primis, per esempio, i ricercatori si sono addirittura accorti che, a fronte di una riduzione dei fertilizzanti anche del 30%, grazie all’impiego di biostimolanti la resa in termini di frutti è statisticamente superiore a quella ottenuta con fertilizzazione 100%.
Nel caso in particolare del pomodoro, utilizzando batteri derivati dagli scarti della filiera agricola si ottengono piante con radici molto più grandi, capaci dunque di sfruttare meglio gli elementi nutritivi contenuti nei terreni.
A differenza dei concimi azotati, inoltre, i biostimolanti costituiscono una classe di nutrienti che, non derivando dal metano, non dipendono dalle fluttuazioni del mercato energetico internazionale.