Con la nuova Pac 2024 arriva lo stop alla coltivazione di grano e mais per un anno in Puglia e Pianura Padana.
Questo importante cambiamento imposto dalla UE rischia di mettere in ginocchio tutta la filiera.
A partire dal 2024, in Puglia e in Pianura Padana, per un anno non sarà quindi più possibile coltivare grano e mais.
È quanto stabilito da Bruxelles relativamente a un obbligo di avvicendamento delle colture previsto dalla nuova Pac (Politica agricola comune) dell’UE nel nome della tutela ambientale e della sostenibilità.
Vero è che produrre sempre le stesse cose potrebbe minacciare la biodiversità e la salubrità della terra, ma è altrettanto vero che interrompere bruscamente una produzione rischia di mettere in ginocchio un intero comparto.

Anche perché, come è noto, il grano duro è indispensabile per la pasta e il mais per la zootecnia (e di conseguenza per le carni) che a sua volta restituisce al terreno preziosa sostanza organica.
Possibili soluzioni al problema
Una soluzione per gli agricoltori potrebbe essere quella di dedicare metà dei terreni alla coltivazione storica il primo anno e l’altra metà spostarla al secondo anno (con la produzione comunque dimezzata).
In alternativa, si potrebbe immaginare di non rispettare la norma a patto di rinunciare al pacchetto di incentivi comunitari che valgono, in media, 150 euro a ettaro per il grano del Tavoliere delle Puglie e 200 a ettaro o poco più per il mais della Pianura Padana. Soluzione, quest’ultima, decisamente meno percorribile della prima.

Impatto sia a Nord che a Sud
Dunque, è sotto gli occhi di tutti che questo importante cambiamento avrà un impatto significativo sia a Nord che a Sud, con il mais come coltura predominante in tutto il settentrione, dal Piemonte alla Lombardia e al Veneto, e il grano duro come coltura caratteristica del meridione, dalla Puglia alla Sicilia.
L’Unione europea, come spesso accade, pone maggiore attenzione all’ambiente e meno al mercato, perché non è facile cambiare le colture.
Soprattutto quando le aziende devono rispettare contratti con i fornitori, a cui dover garantire determinate quantità di grano a fronte di una produzione che all’improvviso viene dimezzata, ha spiegato tra gli altri Vincenzo Lenucci, responsabile Area economica e Centro studi di Confagricoltura.