Le associazioni consortili in zootecnia e allevamenti sembrano crescere nel 2023.

Nel panorama agro zootecnico italiano il fenomeno delle associazioni consortili ha assunto dimensioni sempre più importanti a partire da 10 anni fa, soprattutto in termini di valenza produttiva e commerciale.

Sembra quindi utile ricordare che è stata la L. n. 377 del 10 maggio 1976 a consentire la creazione di società a fini consortili, inserendo nel codice civile l’art. 2615 ter che recita:

Le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’articolo 2602. In tal caso l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro.

Da notare come sia prevista espressamente dall’articolo in questione (in particolare al secondo comma) la possibilità che la società consortile, oltre ai conferimenti iniziali, chieda ai soci dei contributi in denaro.

Associazioni consortili in zootecnia e allevamenti: crescono ancora

L'importante è il tipo di asset societario 

È sottinteso, infatti, che nelle società consortili la disciplina della formazione del patrimonio comune iniziale va rinvenuta tra le norme proprie del tipo societario utilizzato (siano esse s.r.l., S.p.A. o altre forme societarie): conseguentemente la norma contenuta nel secondo comma dell’art 2615 ter fa necessariamente riferimento a contributi ulteriori e successivi ai conferimenti iniziali.

La suddetta norma contiene una espressa deroga a quanto previsto in via generale per le società lucrative, per le quali sarebbe contraria alla legge una clausola statutaria che imponesse ai soci di effettuare altri versamenti oltre al conferimento iniziale, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2253 codice  civile, in base al quale i soci sono obbligati ad eseguire soltanto i conferimenti determinati nel contratto sociale.

Pertanto, se è pur vero che, in linea generale, una struttura consortile che scelga la forma di una società di capitali soggiacerà alle norme dettate per la forma societaria prescelta, è vero anche che dalla norma dettata dal secondo comma dell’art. 2615 ter non si può prescindere. È meglio, quindi, cercare di comprendere le ragioni dell’esistenza di una tale norma, per comprenderne a fondo l’impatto.

Associazioni consortili in zootecnia e allevamenti: crescono ancora

In primo luogo è importante sottolineare che la fattispecie della società consortile nasce dalla commistione tra la struttura propria di uno dei tipi societari tradizionali e la funzione tipica dei consorzi (previsti dagli artt.2602 e seguenti del codice civile): in altre parole, la società consortile realizza gli scopi del consorzio utilizzando una struttura societaria.

Il vantaggio mutualistico 

Tipicamente l’obiettivo di coloro che aderiscono ad un consorzio è quello di trarre un vantaggio mutualistico dallo svolgimento in comune di una o più fasi delle rispettive imprese.

L’ottenimento del beneficio economico mutualistico comporta che i beni o i servizi prodotti dall’impresa mutualistica vengano forniti ai partecipanti tendenzialmente al prezzo di costo: in tal modo i consorziati trarranno il vantaggio mutualistico, fruendo di quei beni e servizi a condizioni più vantaggiose rispetto a quello reperibili sul mercato.

L’impresa mutualistica, in quanto tale, tende  a raggiungere il mero pareggio ed i conferimenti iniziali dei soci dovrebbero essere tali da costituire un patrimonio sufficiente a consentire la gestione in pareggio.

Qualora però si dovesse evidenziare  ex post un situazione in cui tale patrimonio non è sufficiente e si dovesse creare uno squilibrio finanziario, è ovvio che, stante l’assenza di scopo di lucro, non si può aspettare che il disavanzo venga ripianato attraverso il conseguimento di profitti. Ecco pertanto che il senso dei conferimenti successivi previsti dall’art. 2615 ter si rinviene anche nella necessità che i soci intervengano qualora il patrimonio consortile non sia in grado di far fronte ai debiti contratti nell’interesse della società.

Associazioni consortili in zootecnia e allevamenti: crescono ancora

Il fatto che il consorzio abbia forma di società di capitali può determinare negli aderenti ad esso la convinzione che i propri patrimoni personali non vengano poi coinvolti direttamente in caso di insolvenza del consorzio.

Ed infatti è così perché dei debiti della società consortile risponde direttamente solo il patrimonio della stessa, ma se lo statuto ex art. 2615 ter prevede la possibilità di conferimenti successivi in caso di perdite, indirettamente dei debiti del consorzio rispondono anche i soci.

Non è però pensabile che la clausola dello statuto che autorizzi conferimenti successivi ex art. 2615 ter sia concepita in modo da conferire un sostanziale mandato in bianco agli amministratori della società consortile, che siano autorizzati a richiedere ai consorziati qualsiasi somma deliberata dal c.d.a. a fronte della sopravvenienza di perdite.

Associazioni consortili in zootecnia e allevamenti: crescono ancora

La limitazione del rischio per i soci

Una tale clausola sarebbe del tutto incompatibile con l’intento di limitazione del rischio per i soci esplicitato dal consorzio stesso nel momento in cui si costituisce attraverso la forma della società di capitali.

Sarà pertanto necessario che la clausola sui conferimenti successivi sia strutturata in maniera da delineare espressamente dei limiti entro i quali tali conferimenti possano essere richiesti, definendone i presupposti e le modalità, nonché le quote che ad ogni socio possono effettivamente essere accollate.