Aprire un'azienda agricola: si può fare nel 2022? È una domanda che si chiedono in molti, soprattutto dopo che in due anni di crisi pandemica molti lavoratori, professionisti, soprattutto al di fuori del settore agricolo, un'idea a riguardo ce l'hanno avuta, al grido di "mollo la città" e mi ricostruisco una vita, anche e soprattutto professionale in campagna nel settore primario.
Non andremo in questo articolo a racontare di tutte le difficoltà, il rischio imprenditoriale, la formazione e el'eperienza necessaria per avviare un'attività agricola. Ma semplicemente tenteremo di capire in che mi dura sia possibile realizzare un progetto di simile portata. a partire dall'ambito fiscale.

Prima di costituire una azienda agricola , è necessario capire prima, quale asset risponda meglio alle proprie esigenze, sia sotto il profilo organizzativo, sia delle responsabilità e degli scopi da raggiungere.
Apro un'azienda agricola con gli amici
Per vedere come aprire un'azienda agricola partiremo da un caso specifico spesso frequente, ovvero quello di un aspirante imprenditore agricolo che abbia intenzione di rilevare, insieme a conoscenti o famigliari, un’azienda agricola che operi ad esempio nel settore della coltivazione di cereali (principalmente mais) e che abbia anche un piccolo capannone per la lavorazione di base (cernita delle spighe, essicazione, sgranatura pre-pulitura, calibratura e concia).

Nell'idea di questo gruppo di persone c'è il desiderio di espandere l’attività, sia aumentando la produttività dei terreni che affiancando alla lavorazione di base la produzione di olio di mais, rimanendo legati, almeno all’inizio, ai mercati locali.
Il progetto è quello, una volta acquisita l’azienda operante in forma d’impresa individuale, di trasformarla in società in nome collettivo. Quale forma societaria è più vantaggiosa dal punto di vista sia gestionale che fiscale?
L'impostazione societaria è fondamentale
Cerchiamo di rispondere in maniera esauriente alle sue molteplici variabili di un business plan di questo tipo. In Italia, principalmente per ragioni storiche (in molte zone si è passati dal latifondo a un accentuato frazionamento della proprietà agricola), la forma più utilizza per l’esercizio dell’attività agricola è quella dell’impresa individuale.
Negli ultimi decenni, però, si stanno diffondendo, con la crescente esposizione ai prodotti provenienti dall’estero e l’accresciuta esigenza di competitività, le forme di società semplice e società in nome collettivo.

Assai rare, invece, le S.r.l. e le S.p.A. Il legislatore, del resto, ha sempre sfavorito, in passato, la forma societaria, sia di persone (società semplice, s.a.s., s.n.c) che di capitali (S.r.l. e S.p.A), considerando il reddito prodotto dall’attività agricola societaria come reddito d’impresa (assimilandolo, fiscalmente, a quello dei settori industriali e commerciali).
Preso atto dell’effetto fortemente negativo della precedente normativa sull’efficienza e sulla crescita evolutiva del settore agricolo, il legislatore, con il d.lgs. 99/2004, ha rivisto la sua posizione, introducendo il concetto di “società agricola” e consentendo a tali tipi di società, di persone oppure S.r.l., di determinare il reddito su base catastale, ossia il cosiddetto reddito agrario, determinato mediante l’applicazione di tariffe d’estimo stabilite dalla legge catastale per ciascuna coltivazione in rapportato al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione della produzione impiegati dal soggetto che esercita l’attività agricola.
Secondo il d.lgs. 99/2014 la società agricola è quella che ha come oggetto sociale l’esercizio della attività previste dall’art 2135 del Codice Civile e che contiene nella ragione sociale esplicitamente la dizione “società agricola”. Il comportamento ambiguo del legislatore, però, è continuato.
Non solo le agevolazioni fiscali di cui sopra sono state sancite solamente con la Legge Finanziaria del 2007 (legge 296/2006), ma, addirittura, con la Finanziaria 2013 vennero, per le società, abolite per le società. Fortunatamente la Legge di Stabilità 2014 ha ripristinato quanto previsto dalla legge 296/2006.
La manipolazione del mais nonché la produzione di olio di semi, rientrano, ai sensi del D.M. del 17 giugno 2011, nella “Tabella dei prodotti Agricoli” e quindi l’azienda che svolge, accanto alla coltivazione, anche queste attività può usufruire dell’agevolazione di calcolare il reddito su base catastale.
La responsabilità limitata conviene
Circa l'apertura di u'azienda agricola, fatte queste premesse ci sentiamo di dire che la società a responsabilità limitata è una scelta più oculata rispetto a quella in s.n.c.
Il trattamento fiscale, alla luce di quanto visto è il medesimo, ma si ha il vantaggio di rispondere per i debiti della società limitatamente al capitale conferito, ossia un minimo, previsto per legge, di € 10.000. I soci di una società in nome collettivo, invece, rispondono illimitatamente e solidalmente per i debiti sociali anche con il loro patrimonio personale.

È vero che la s.n.c. può accedere alla contabilità semplificata (niente Libro Giornale, Libro Inventari e scritture di magazzino) e la S.r.l. no, ma i risparmi sono relativi (marche da bollo, minor compenso al commercialista) e ci sono vincoli di fatturato (non più di 700.000 l’anno). Nell’ottica di espandere l’attività questi vincoli potrebbero trasformarsi in limiti, anche psicologici.
Una trasformazione da impresa individuale a S.r.l. (ma varrebbe anche in caso di s.n.c.) si attua, concretamente, attraverso l’istituto giuridico del “conferimento di ditta individuale in società”. Nel caso esposto uno dei futuri soci potrebbe acquistare l’impresa individuale e conferirla in una nuova società, creata dagli altri, divenendone, a sua volta, socio.
Nella fattispecie (conferimento dell’impresa individuale in una società di nuova costituzione) dovrà essere effettuata una valutazione per stabilire il valore dell’azienda conferita.
Quest’ultimo è dato dal valore contabile delle singole attività e passività conferite, incrementato delle plusvalenze e ridotto delle minusvalenze, risultanti da una stima a valori correnti. L’eventuale avviamento, solitamente, non rientra nel patrimonio della nuova società e, di conseguenza, nel valore della partecipazione assegnata al titolare della ditta individuale conferita.
E fiscalmente?
L’eventuale plusvalenza derivante dal conferimento infatti può creare materia imponibile, rientrante nella categoria dei redditi di impresa (o dei redditi diversi) e tassata.
Si tenga presente che Il conferimento originerà anche un valore fiscale (in base ai valori fiscali spesso diversi da quelli contabili); un valore economico, determinato dal perito per plusvalori latenti dei cespiti o un valore avviamento ed un valore di realizzo, ovvero una sorta di corrispettivo (compreso entro il limite massimo del valore economico risultante dalla stima) che serve per determinare il risultato del conferimento, cioè l’entità della plusvalenza.

Le regole stabilite dalla riforma delle operazioni di ristrutturazione aziendale del 1997 e dalla riforma fiscale del 2004 (D.Lgs. 344/2003), evidenziano la volontà del legislatore di rendere fiscalmente neutrali (cioè non produttive di risultati tassabili) le operazioni di conferimento.
Le plusvalenze rimarranno, infatti, latenti al momento del conferimento e verranno tassate quando il conferente cederà la partecipazione ricevuta in cambio del conferimento oppure il conferitario cederà l’azienda ricevuta o i singoli beni di cui è composta.
L’attuale normativa per la determinazione del risultato del conferimento è dato dagli articoli 175 (conferimenti “a valori contabili” di aziende o di partecipazioni di controllo o di collegamento) e 176 (conferimenti in regime di “doppia sospensione d’imposta” aventi a oggetto solo aziende, non anche partecipazioni) del TUIR.