La vendita diretta dei prodotti agricoli può rappresentare realmente un'integrazione di guadagno alle attività tradizionali dell'impresa agricola.
Andiamo a vedere quali sono i requisiti e la normativa prendendo spunto da una richiesta di informazioni arrivata in redazione.
Ho sentito parlare di vendita diretta dei prodotti agricoli ma non so come fare. Quali sono tutti i requisiti legali e le norme di riferimentorichiesti per intraprendere questa attività?
L’attività di vendita diretta di prodotti da parte dei produttori agricoli è disciplinata dal decreto legislativo n. 228 del 18 maggio 2001.
Tale decreto predispone una disciplina decisamente più semplificata rispetto a quella prevista in via generale dal decreto legislativo n. 114 del 31 marzo 1998 che a sua volta disciplina l’attività di vendita diretta relativamente al settore del commercio.

Questa differente regolamentazione ha spesso determinato il fenomeno per cui si cerca di far rientrare nel concetto di vendita diretta da parte dell’imprenditore agricolo anche operazioni piuttosto lontane da tale attività.
Al fine di fare chiarezza, in passato si è più volte pronunciato il Ministero dello Sviluppo Economico, con differenti risoluzioni nel corso degli anni; tra le ultime la risoluzione n.4562 dell’11 gennaio 2013, nonché la n. 264073 del 31 dicembre 2012, dettate in risposta a quesiti inerenti, appunto, la possibilità o meno di far rientrare, nell’ambito di applicazione del decreto legislativo n. 228/2001, anche la vendita di prodotti la cui tecnologia di realizzazione ed i cui materiali di composizione configurino la nozione di connessione e valorizzazione della società agricola (ad esempio oggettistica artigianale, decorazioni, mobili ed attrezzature da giardino realizzati in legno, vetro, ceramica ed altre materie prime naturali).

Le norme di riferimento
Nelle sue risoluzioni il Ministero innanzitutto ricorda quali siano le norme di riferimento, ovvero l’art. 4 del sopra citato decreto legislativo n. 228/2001, nonché l’art. 2135 del codice civile.
Infatti, dall’art. 4 ricaviamo direttamente la disciplina inerente la vendita da parte dell’imprenditore agricolo:
1. Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all'art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità. (…)
5. La presente disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa (…)
7. Alla vendita diretta disciplinata dal presente decreto legislativo continuano a non applicarsi le disposizioni di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, in conformità a quanto stabilito dall'articolo 4, comma 2, lettera d), del medesimo decreto legislativo n. 114 del 1998. (…)
8. Qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori individuali ovvero a lire 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998.”
Risulta assolutamente chiaro che i produttori agricoli sono sì legittimati a vendere anche prodotti non provenienti dai propri fondi, ma che tali vendite devono rimanere entro un certo limite di ricavi oltre il quale scatterebbe il passaggio ad attività di commercio al dettaglio con la conseguente applicabilità delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 114 del 1998.

Le citate risoluzione n.4562 e n. 264073 non sono le uniche con cui il Ministero ha preso posizione in materia: già il 13/08/2009, infatti, era stata promulgata la nota n. 73834 in merito alla possibilità per l’imprenditore agricolo di vendere prodotti alimentari non provenienti direttamente dal proprio fondo. In tale nota, si affermava la possibilità di vendere non solo prodotti alimentari trasformati presso altre aziende agricole, ma anche quelli provenienti da un ciclo industriale di trasformazione, sempre che sia strettamente rispettato il criterio della prevalenza dettato dal sopra citato art. 4.
E se i beni sono non alimentari?
Nel caso in cui l’imprenditore agricolo intenda mettere in vendita beni complementari e connessi a quelli prodotti dall’azienda agricola, ma non provenienti specificatamente dal settore agricolo (come ad esempio oggettistica artigianale, decorazioni, mobili ed attrezzature da giardino), ritiene il Ministero che si debba fare riferimento alla definizione di imprenditore agricolo e di attività connessa fornite dall’art. 2135 del codice civile.
Tale norma definisce imprenditore agricolo colui che
esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

Pertanto, in considerazione di tutta la normativa citata,
si ritiene che possa essere consentita la vendita di quei prodotti i cui materiali di composizione sono stati ottenuti dall’utilizzazione diretta di risorse proprie dell’azienda agricola (…) limitatamente alle decorazioni o agli addobbi realizzati con materiali provenienti dal fondo nonché all’oggettistica egualmente realizzata.
Non si ritiene ammissibile, invece, in quanto non giustificabile con la caratteristica di connessione all’attività agricola, la vendita di mobili in legno né di oggetti in carta, vetro o ceramica.