L'agricoltura rigenerativa (AR) è tutt'altro che un concetto etereo e passa dal ha un impatto produttivo e patrimoniale, migliorando il patrimonio fondiario.
Per capirlo bisogna fare un passo indietro.
La necessità di creare un sistema agricoltura più sostenibile a livello europeo è parte della strategia “Farm to Fork” (F2F), che punta a un sistema agroalimentare in grado di promuovere diete salutari e riducendo gli impatti ambientali.
Con una serie di direttive, la F2F ha stabilito ambiziosi obiettivi, sottolineando più volte l’urgenza di migliorare la salute del suolo e rigenerare i Servizi Ecosistemici.
In quest’ottica, l’agricoltura è qualcosa in più della semplice produzione di cibo, mangimi e carburanti e diventa il settore in grado di produrre i Servizi Ecosistemici indispensabili per la sopravvivenza dell’uomo quali, ad esempio, i servizi di regolazione del clima.
L'agricoltura rigenerativa non è il bio
In questo contesto, l’Agricoltura Rigenerativa (AR) (da non confondere con altri tipi di agricoltura come il biologico ad esempio), è probabilmente la chiave di volta.
Indicata dalla Fao come la via da perseguire nel 2011, essa comprende un insieme di tecniche incentrate sul minimo disturbo del suolo, la conservazione dei residui delle colture, l’adozione di cover crops tra una coltura da reddito e l’altra e la diversificazione attraverso la rotazione delle colture.
Visto poi che queste pratiche consentono anche di sequestrare CO2 dall’atmosfera e stoccarla nel suolo, per la UE, l’AR si è tradotta in carbon farming.
La maggior parte della produzione di commodity avviene con l’impiego dell’agricoltura convenzionale e oggi questo approccio si dimostra inadeguato al raggiungimento degli obiettivi che ci siamo dati per produrre non a scapito dell’ambiente, ma con l’ambiente.
L'agricoltura tradizionale: ruolo e impatto
Per quanto l’agricoltura convenzionale abbia contribuito allo sviluppo dell’umanità fino a oggi, la tutela degli ecosistemi durante il suo sviluppo è stata messa in secondo piano.
La discussione è quindi su come effettuare la transizione a un sistema produttivo più sostenibile ruota attorno al carbon farming e in Commissione si discute di come normare un mercato di crediti di carbonio da esso derivanti.
Viste le titubanze nella formulazione degli schemi di scambio dei crediti di carbonio, se per qualsiasi motivo il meccanismo non dovesse funzionare, gli agricoltori potrebbero rapidamente tornare a pratiche meno sostenibili.
L'importanza dello stato patrimoniale
Per capire meglio il il concetto e legame tra AR e carbon farming ci viene in soccorso uno studio, pubblicato da Il Sole 24 Ore, che riportiamo di seguito.
Il carbon farming, in realtà, è solo una chiave di lettura dell’agricoltura rigenerativa che pone l’accento, appunto, sul tema dei crediti. Sembra invece che il vantaggio dell’AR rispetto agli obiettivi di sostenibilità, emerga più nello stato patrimoniale che non nel conto economico, ed è quello che risulta da uno studio Invernizzi AGRI Lab di SDA Bocconi in collaborazione con il DI.PRO.VE.S dell’Università Cattolica che ha analizzato i dati di dodici anni di sperimentazione.
Nell’ambito dello sviluppo dell’agricoltura convenzionale, che ha ricalcato lo sviluppo e gli approcci della manifattura industriale, abbiamo sempre considerato come asset produttivi quelli tecnologici (trattori, attrezzature, macchinari).
Su questi si è concentrata anche la ricerca, nel tentativo di evolverli con tecnologie sempre più efficienti. Lo studio invece ribalta la prospettiva e si concentra sull’efficienza dell’asset più importante per l’azienda agricola: il suolo.
In quest’ottica, il suolo è paragonato a un impianto industriale, mentre trattori e attrezzature sono le tecnologie di supporto e manutenzione all’impianto.
Attraverso la trasposizione di un indicatore composito (Oee) normalmente impiegato per misurare l’efficienza di impianti e macchinari nella produzione industriale, lo studio dimostra che l’AR non solo contribuisce al benessere dell’ecosistema, ma è più efficiente in termini produttivi e rispetto agli obiettivi ambientali.
Nei campi gestiti con AR infatti, l’indicatore rimane sempre diverse volte superiore rispetto ai campi attigui condotti in convenzionale.
In estrema sintesi, questo avviene perché con il convenzionale non è possibile produrre servizi ecosistemici, ma ci si avvale solo ed esclusivamente del servizio di approvvigionamento dell’ecosistema, si producono commodity, nient’altro.
Nei campi così condotti, la biodiversità nel suolo rimane sempre ai minimi livelli, la sostanza organica non cresce e tutto l’azoto di sintesi apportato nella fase di concimazione viene immagazzinato dalle colture poi raccolte al termine del ciclo produttivo. E ogni anno si ricomincia da zero.
In quelli gestiti con l’AR, l’apporto di input di sintesi è progressivamente minore e la biodiversità aumenta, oltre a mantenere livelli di rendimento anche superiori a quelli del convenzionale dopo i primi 2 anni.
Per usare una similitudine, un campo gestito in AR è paragonabile a un motore Euro 6, uno gestito in convenzionale è il più delle volte un Euro 0, meno efficiente nell’utilizzo del carburante e con un maggiore impatto ambientale.
Con o senza carbon credits, l’agricoltura rigenerativa ha un impatto produttivo e patrimoniale, migliorando il patrimonio fondiario.
Il patrimonio fondiario è il motore della finanza in agricoltura e, in generale, l’attivo patrimoniale costituito dai terreni è il sottostante del credito bancario per eccellenza. Nelle aziende agricole, l’incidenza dell’attivo di lungo termine sul totale attivo assume valori medi intorno al 90 per cento.
Di questo, la maggior parte è rappresentata dai terreni. Nella prospettiva di una banca, in un settore dove il 93,5% delle aziende è una ditta individuale o una società semplice, valutare il merito creditizio non è mai semplice, ma la terra, il cui valore si considera costante o crescente, è un’ottima garanzia che arriva rappresentare anche il 70% delle garanzie reali a copertura.
Il collegamento con il sistema bancario e il ruolo che questo avrà nell’introduzione di un’agricoltura sostenibile dovrebbe essere appena dietro l’angolo: se la normativa Esg impone vincoli sempre più stringenti su impieghi e investimenti e viste le innegabili differenze tra gli impatti ambientali di metodi di gestione diversi, prima o poi, come sta avvenendo per altri settori, il sistema bancario introdurrà valutazioni di carattere ambientale
anche in agricoltura e, molto probabilmente, partirà dalla cosa più rilevante, i terreni.In questo scenario del tutto realistico, l’effetto auspicato è quello di un rapido passaggio a pratiche agricole più sostenibili, ma soprattutto più efficienti (fonte Il Sole 24 Ore).